Minima moralia

Ragione vorrebbe che le accuse di “crimini contro l’umanità” o “crimini di guerra”venissero rivolte al termine di un conflitto o dell’arresto o morte di un dittatore, una volta acquisite tutte le informazioni necessarie e istituiti processi internazionali legali o politici. Lo abbiamo visto, per esempio, alla fine della seconda guerra mondiale con la sconfitta della Germania (processo di Norimberga) e del Giappone (processo di Tokyo) o dopo la morte di Stalin (il disgelo seguito alla destalinizzazione nell’Unione Sovietica). Una assunzione che dovrebbe promuovere la ricerca di una quanto più rapida cessazione del conflitto. Questa volta invece la Vice Presidente degli Stati Uniti, sovvertendo le regole del gioco, ha ritenuto di dover lanciare ufficialmente l’accusa contro Vladimir Putin alla “Conferenza sulla sicurezza” di Monaco del 18/2/2023 (messaggio subliminale che evoca un evento del 1938 prima della tragedia) nel pieno dello svolgimento della guerra in atto in Ucraina: “Non ci sono dubbi. la Russia ha commesso crimini contro l’umanità”. A parte la sicurezza dell’esternazione, che ricorda quella mostrata da un ex Segretario di Stato degli Stati Uniti contro l’Iraq accusata di possedere “armi di distruzione di massa”, che poi cercò di recuperare affermando in una intervista che “L’assenza di una prova non è la prova di un’assenza”, qui interessa l’essenza stessa del concetto di “crimine di guerra”.

Ricordo l’addestramento ricevuto durante l’assolvimento del servizio militare di leva che prevedeva la seguente regola d’ingaggio durante i turni di guardia: chiedere tre volte “altolà chi va là, fermo o sparo” prima di essere legittimati a sparare. Considerata la paura per i rischi che si sarebbero occorsi in una simile circostanza e, d’altra parte, la materiale impossibilità di verificare ex post la corretta sequenza temporale, circolava la seguente battuta: “prima sparate e poi chiedete l’alto là”. Potrebbe sembrare una battuta cinica tra commilitoni depressi dalla naja, invece è un esempio della logica che guida la comunicazione conflittuale tra nemici sistematicamente usata non solo nei conflitti armati ma anche e soprattutto in politica, e che trasforma l’informazione in propaganda. Tale logica può essere così espressa: lancia un’accusa per primo, la verità degli argomenti è irrilevante, e poni l’avversario nella posizione di doversi difendere, sempre sotto scacco.

Tornando al merito, le dichiarazioni della attuale diplomazia americana rivolte   al  leader politico russo, al di là delle analisi e valutazioni sulla guerra in atto e delle rispettive responsabilità dei confliggenti, ritengo sia necessario e utile  richiamare alla memoria  come gli Stati Uniti conclusero la seconda guerra mondiali nel Pacifico, vincendola.

Nel 2004 fu assegnato il Premio Oscar come miglior documentario a The Fog of War – La guerra secondo Robert McNamara  del regista Errol Morris, poi conservato alla Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.  Tratto dal libro scritto da Robert McNamara, ex Segretario alla Difesa degli Stati Uniti con i Presidenti J.F.Kennedy e L.B.Johnson, vi si raccontano e commentano gli avvenimenti bellici che lo videro protagonista. Il libro, basato su lunghe interviste e molti documenti, è diviso in 11 lezioni che pongono l’accento sul valore della responsabilità verso la società. Dai suoi titoli  traspaiono gli studi filosofici di logica ed etica condotti da McNamara a Berkeley, titolo quali per esempio: entra in empatia con il tuo nemico, la razionalità non ci salverà, credere e vedere spesso sono entrambi sbagliati, la proporzionalità dovrebbe essere una linea guida in guerra,  c’è qualcosa al di là di se stessi…      

Durante la seconda guerra mondiale McNamara ricopriva il ruolo di capitano presso l’Ufficio statistico delle forze aeree americane con il compito di misurare la produttività del complesso militare-industriale, attraverso il rapporto tra il numero di morti inflitte al nemico rispetto a quelle subite e mise a punto un sistema di controllo sull’efficienza (in quel momento ritenuta insufficiente) dei bombardieri B-29 dislocati nel Pacifico al comando del Generale Curtis LeMay, Capo di Stato Maggiore dell’aviazione degli Stati Uniti. Questi  nel periodo febbraio-luglio 1945 progettò e ordinò i bombardamenti a tappeto con bombe incendiarie (napalm),  già adottate ad Amburgo e a Dresda e rese ancor più più efficaci contro le abitazioni in legno e carta delle  città giapponesi. Tali bombardamenti generarono una tempesta di fuoco su 67 città giapponesi  provocando  la perdita di almeno 1,5 milioni di vite civili, più gli animali (100.000 persone civili morirono bruciati e soffocati  con il solo  bombardamento di Tokyo nella notte del 9-10 marzo del 1945). La campagna si concluse con l’ordine di lanciare, avuto il permesso del presidente Harry Truman, la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki il 6 e il 9 agosto 1945. Durante il conflitto l’alto comando statunitense desistette dallo sganciare un terzo ordigno nucleare sulla capitale Tokyo, dal momento che la città, oltre ad essere la sede dell’Imperatore (la cui morte avrebbe rappresentato un problema nella successiva fase di ricostruzione del paese) nell’agosto 1945 era già stata completamente distrutta dai precedenti bombardamenti incendiari.  

Dopo la fine della seconda guerra mondiale v’erano alcuni osservatori che riconobbero l’immoralità di quei bombardamenti, concepiti e attuati come una strategia a lungo termine avente lo scopo di prostrare la popolazione, colpire definitivamente l’industria bellica giapponese e minare la volontà del governo nipponico di lottare a oltranza,  ma  che vennero giustificati necessari e le sue perdite dicivili considerate accettabili dall’amministrazione statunitense. Tuttavia, Robert McNamara in “Fog of War” ebbe a confessare : “LeMay mi disse: – “Se avessimo perso  saremmo stati perseguiti come criminali di guerra” – Penso avesse ragione e vorrei dire noi ci stavamo comportanto da criminali di guerra. LeMay riconosceva che quello che stava facendo sarebbe stato considerato immorale se la sua parte avesse perso. Ma che cosa rende un’ azione non immorale se vinci ed immorale solo se perdi?”  

Alla fine l’accostamento stesso dei termini “crimini” e “guerra”, ancorché legati da una proposizione, non è pleonastico? Può mai esistere una guerra senza crimini? Non è la guerra stessa un crimine, al di là di come la si conduce?

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