I Tabu nazionali

Domanda. Dalla crisi del processo di formazione della classe dirigente alla crisi della politica, dei partiti e delle istituzioni.  Ad un certo punto  lei coglie il segno della crisi della sinistra,  sia di governo che di opposizione,   nello spostamento dell’accento della critica dai contenuti politici, economici e sociali  dei provvedimenti e dei programmi del governo, ai toni, i modi e i linguaggi  con cui quei provvedimenti, fino al precedente governo, vengono espressi e sostenuti. Ciò perché la sinistra avrebbe  visto in questi fenomeni gli indicatori  della vera natura “populista” e “demagogica” della politica della destra italiana. In altre parole, lei ritiene che l’opposizione, frastornata dalle parole incalzanti della destra, sparate come un fuoco di copertura, si sia racchiusa in una posizione difensiva, come un pugile alle corde, incapace di arginare le continue iniziative dell’avversario e di ricostruire la propria alternativa.

Risposta. Può apparire strano, e per taluni aspetti anche paradossale, che gli eredi del Partito Comunista Italiano, che in passato non  ha mai nascosto una  qual diffidenza e sufficienza verso la democrazia formale per  concentrarsi sulle analisi dei contenuti storici, economici e sociali, svolte sulla base del pensiero marxista ed in una cornice di contrapposizione ideologica tra blocchi, siano oggi  tra quelli che vedono nella destra al potere la  minaccia della distruzione delle forme istituzionali democratiche e si battano apertamente in difesa dei valori della Costituzione e dell’unità della nazione. Solo vent’anni fa era difficile assistere al canto dell’inno nazionale da parte di rappresentanti del PCI.

E’ come se  l’aggirarsi per l’Italia dello  spettro  di un “regime” avesse paralizzato  come un veleno la  capacità di critica nel nostro paese, sulla quale per altro la sinistra ha fondato per oltre un secolo i propri successi.  A tutti gli attori e protagonisti dell’attuale dibattito sulla riforma della Costituzione faccio tuttavia rilevare come sia strategicamente inutile  voler cambiare qualcosa che va in rovina, quando si dovrebbe dapprima salvare ciò che si vuole cambiare.

A mio parere, questa difesa della Costituzione, per altro giusta ed opportuna,  ci svela una verità storica del nostro paese, il fatto cioè che il ruolo assunto dalla sinistra  è consistito nel  supplire  all’assenza di una classe borghese illuminata, derivata da una rivoluzione liberare e mai sufficientemente consolidata in Italia. Questa verità nella storia italiana è stata soffocata durante il fascismo e in seguito occultata  dalla contrapposizione tra le due grandi ideologie. Non occorre essere di sinistra per riconoscere l’apporto determinante dato dal Partito Comunista Italiano del secolo scorso nell’edificazione dello Stato liberale e democratico, a partire dal riscatto della Resistenza sulle rovine di una guerra perduta tragicamente tra rovine materiali e morali, per approdare alla partecipazione attiva nella fondazione della Costituzione. E’ questo il  motivo per il quale la destra italiana contemporanea recrimina sulla prevalente e dominante Cultura  di sinistra. In questa invidia c’è l’ammissione della propria inconsistenza.

Domanda. Non resterebbe dunque che prenderne coscienza per poter progredire e migliorare, ma ricordo  che in un altro punto del libro  lei  giunge  alla conclusione  forse azzardata secondo la quale  giudica il regime politico  presente nel nostro paese fino a pochi mesi fa come una tragedia rispetto alla farsa del ventennio fascista.

Risposta. La storia sembra ripetersi, magari dalla tragedia alla farsa, ma in realtà cambia la scala dei fenomeni.   Durante il ventennio del regime fascista, che è bene ricordare si è affermato grazie alla desistenza di una monarchia inetta per consolidarsi in seguito con la volontà popolare, il popolo veniva compattato e dominato dal potere nella prospettiva di diventare attraverso la dittatura di un uomo guida (Duce o Führer che fosse) una potenza egemone in espansione da cui sarebbero derivate  sicurezza e prosperità. Una tale concezione  accomunava le ideologie novecentesche che si  reggevano sul controllo delle masse  mediante regimi totalitari, regimi che giustificavano le proprie azioni come necessarie in relazione alla grandezza dei fini.

Oggi il popolo,  si sente minacciato dalle differenti e nuove dimensioni del territorio,  quali la globalizzazione dei mercati (e delle crisi finanziarie), i temuti effetti  catastrofici prodotti dai  cambiamenti del clima, la paura dei flussi immigratori e  si frammenta su una dimensione più piccola nel tentativo apolitico di affrontare la realtà con una gestione esclusivamente amministrativa del potere, in una  prospettiva tecnica atemporale, dominata dalla economia e dell’efficienza. Una sorta di democrazia commissariata.

Se  quel ventennio è stato dunque tragico nei modi e negli esiti, l’attuale periodo può risultare ancora più tragico  per il radicamento profondo e progressivo nello spirito degli  uomini contemporanei dell’angoscia per l’assenza di un futuro senz’altro, il luogo a cui tendere e dove ritrovarsi. Al suo cospetto i comportamenti e gli atteggiamenti dei regimi passati ci possono apparire oggi, soprattutto alle giovani generazioni, come caricature del potere.

Domanda. Rimane  alla fine il “popolo” come variabile indipendente rispetto alla quale  si muove la politica contemporanea. Una concezione demagogica ed economicistica del potere  che seguendo il principio di “dare al popolo ciò che il popolo vuole” rivela  l’incapacità della politica  contemporanea di riappropriarsi della  missione originaria d’indirizzo e di gestione equa degli interessi dei cittadini, per il raggiungimento del bene  comune.  Anche in questo caso il   lessico usato ci aiuta a comprendere l’impoverimento del pensiero avvenuto in questi ultimi anni,  allorchè il nostro paese è stato concepito e trattato come un’azienda, come un sistema, ma mai come uno Stato.

Risposta. Se ciò è vero allora bisogna accettare l’idea che il populismo  della destra contemporanea non è così diverso del populismo della sinistra. Mentre il primo ha bisogno di un popolo passivo, consumatore e ignorante,  come sostegno del proprio mandato, il secondo pervaso di cattolicesimo indulge sulla sua miseria con la  pretesa di  condurlo al potere. Entrambe le  concezioni sembrano però dimenticare che il popolo e l’opinione pubblica quando sono contro il potere gli nuoce e quando gli sono favorevoli  non contano niente.

Domanda. Riportiamo ora la discussione sul piano storico. Prima, riferendosi alle concezioni di popolo della destra e sinistra politica ha sostenuto che la sinistra italiana sarebbe “pervasa dal cattolicesimo” dando forse a questa espressione un carattere di contaminazione.  A parte il fatto che ci si aspetterebbe che  una tale  pervasività connotasse maggiormente la concezione del popolo  della destra, che  si richiama esplicitamente ai valori del cattolicesimo, le chiedo tuttavia il reale significato di una tale affermazione che lascia intravedere una sua visione negativa della religione.

Risposta.   L’arte e la religione sono le prime forme di cultura  concepita dall’uomo, senza le quali  la sua stessa evoluzione non sarebbe stata possibile. Ma il fatto è che in Italia siamo di fronte al tabù nazionale, ancora infrangibile. Ed è veramente difficile affrontare ogni tematica che comprenda la componente religiosa, senza ricadere nel facile errore di  promuovere crociate o di assumere posizioni integraliste o fondamentaliste.

Quanto a me, voglio chiare subito che  non sono religioso, se lo fossi  non sarei cristiano e se fossi cristiano non sarei cattolico.

Avviamoci  dunque per questo difficile  sentiero con  la consapevolezza che ci addentriamo in un campo cosparso di cenere sotto il quale ancora ardono  antichi carboni accesi.  Per questo,  in applicazione della legge scientifica del risparmio,  ben espressa dal Rasoio di Occam,   ho proceduto nell’analisi agendo all’interno del pensiero cristiano, dal momento che esso connota pur sempre  la nostra  cultura occidentale nella  quale noi ci dobbiamo riconoscere.

Come si manifesta il tabù?  Attraverso la  constatazione che  nelle analisi e dibattiti  culturali o politici si tende nel nostro paese a confondere  il “cattolicesimo” con il “cristianesimo”. E’ quasi un lapsus verbale, un atto mancato del linguaggio: nell’esposizione degli argomenti si passa indifferentemente dall’uso del termine cattolico a quello di cristiano, come se fossero equivalenti.

Politici, teologi, sacerdoti  intellettuali, nel sostenere i propri principi e valori sembrano non avvertano  la necessità di distinguere tra i due termini, che rimandano a concezioni così  diverse. Come se cinque secoli fa nel continente europeo non fosse avvenuta quella Riforma Protestante che ha costituito, comunque la  s’intenda,  una  svolta  selettiva culturale che ha indotto una vera e propria mutazione  nell’evoluzione  del mondo occidentale.

Domanda. Non teme di proporre una divisione tra i cattolici italiani?

Risposta.  Per me la divisione tra laici e cattolici come è oggi rappresentata è una finzione ideologica. La divisione non sta nella fede, ma nell’etica. Senza nulla togliere ai principi e ai valori generali del cristianesimo, che è bene ripetere  sono  fondativi della  cultura a cui apparteniamo, si  dovrà pure prendere atto, ecco il tabù, che la presenza della Chiesa di Roma ha costituito in Italia uno dei fattori di resistenza al progresso, contribuendo a rendere il nostro Paese ancor oggi, vicini alla celebrazione dei 150 anni dall’Unità d’Italia, un Paese incompiuto.

Domanda. Nel unire l’etica alla politica non vede il rischio di sostenere uno Stato etico?

Risposta. Non si tratta di guidare la vita privata dei cittadini. Questo è proprio ciò che si propongono gli integralismi e fondamentalismi di tutte le religioni, che vogliono convertire le anime e disciplinare la vita degli uomini sulla terra, dal momento che essi ritengono che la vita stessa non appartene loro.

In Europa e successivamente nell’America del Nord l’etica protestante  ha liberato da secoli le forze propulsive di una intraprendente borghesia lanciata verso un progresso, costruendo l’unità  delle istituzioni tanto nei casi di Stati federali come negli Stati centrali, mentre l’Italia, già frammentata dalla frequentazione secolare di invasori, ancora oggi fatica a riconoscersi unita.
Se ieri i Piemontesi s’imbatterono nella “questione meridionale” e nel conflitto con lo Stato Vaticano, oggi lo Stato Italiano deve affrontare la criminalità organizzata, la corruzione e  l’ingerenza della Chiesa Cattolica nelle vicende politiche e istituzionali.

Si rimuovono in tal modo cinque secoli di storia durante i quali gran parte della cultura europea ha assimilato, sia pure con varie modalità e contraddizioni, i principi e i valori della Riforma Protestante, aperta al progresso, mentre in Italia si è affermata al contrario una cultura derivata dalla Controriforma, chiusa ed involutiva. Prendiamo quindi atto che noi siamo cattolici (apostolici e romani) prima ancora di essere cristiani. E se il cristianesimo costituisce uno dei fondamenti della nostra cultura-identità, occidentale, è altrettanto vero che il rapporto con l’autorità si presenta a noi italiani in modo perverso e conflittuale, vissuto ed agito non in un rapporto mediato da un ente terzo, lo Stato, ma attraverso la famiglia.  Da una parte dunque una cultura che pone l’ individuo in rapporto diretto con il proprio Dio (l’autorità della fede) e in rapporto con i propri simili attraverso l’identificazione e il riconoscimento nello Stato (il Diritto), dall’altra una cultura dove l’individuo si relaziona con Dio attraverso i Dogmi della Chiesa (la fede nell’autorità) costruendo una società come somma di famiglie tendenzialmente autonome che vivono lo Stato come un’entità estranea ed ostile.

Quando trattiamo di una nostra disfunzione nazionale, e invero sono molte le occasioni per farlo, ci piace paragonarci  ad altri paesi europei o agli Stati Uniti, riconoscendoci tutti cristiani, anche se mossi dalla motivazione assai poco nobile di trovare conforto quando possiamo riscontrare che “così fan tutti”, senza rendersi conto che a parità dei valori di riferimento il popolo italiano  mostra comportamenti ben diversi, per esempio, da quello francese, piuttosto che  tedesco,  anglosassone ,  scandinavo o  americano.  Un esempio per tutti è  il rapporto del cittadino con lo Stato e la gestione della cosa pubblica, la cui differenza è così  profonda  da non sfuggire nemmeno all’attenzione del distratto turista.  Si tratta della  cultura di un popolo o, per meglio dire, della cultura che fa degli uomini un popolo.

Mi ha per esempio  colpito un’immagine riportata circa due anni  fa su un quotidiano che riprendeva un corteo a Parigi durante uno sciopero sindacale degli insegnanti, vi appariva un cartello con su riportato: la scienza per tutti.  Un altro esempio di indicatore di civiltà, della cultura di un popolo,  vien dal  libro  Il Crollo – Too big to fail di A.R. Sorkin (autore americano che attraverso le moltissime interviste da lui condotte ci  racconta  lo svolgersi della crisi finanziaria originatasi negli Stati Uniti d’America dal 2007, ed ancora in corso)   dove vengono mostrati i personaggi attori dei fatti, quelli che hanno contato e che tuttora contano a Wall Street e a Washington, di cui avevamo notizia attraverso i massmedia. Ebbene, pur nelle manovre finanziarie ipotizzate per salvare i propri interessi, compresi i tentativi di ricorrere al salvataggio da parte dello Stato delle Banche dalla bancarotta causata dalle speculazioni sui mutui, viene comunque e sempre posta l’attenzione  verso i cittadini e i loro diritti, usando l’espressione  “i soldi dei contribuenti”.

Domanda. Come può accadere allora che una  formazione politica che s’ispira al materialismo e che si professa laica possa  farsi così tanto condizionare dal cattolicesimo?

Risposta. Innanzitutto occorre osservare  che dietro le apparenti differenze metafisiche e dispute teologiche, le diverse religioni  monoteistiche mostrano un comune  fondamento ideologico, dal momento che si proclamano ognuna depositaria della verità assoluta.

In analogia alle religioni il comunismo si è mostrato anch’esso un’ideologia che, sostituendo  il Dio con la Storia , ha costruito una visione del mondo totalizzante. E tra le ideologie in tal modo s’instaura  l’inevitabile dinamica competitiva per il controllo degli individui, competizione che in assenza di una mediazione politica democratica può degenerare in aperto conflitto.

D’altra parte il cattolicesimo è anteriore di secoli all’avvento dell’ideologia comunista ed è dunque facile immaginare i condizionamenti educativi esercitati sulle singole persone da chi deteneva  una cultura millenaria e aveva creato i luoghi stessi dell’istruzione e della formazione.

La formula Peppone versus Don Camillo è una geniale  invenzione cinematografica italiana che trasfigura attraverso le maschere la profonda divisione di un popolo e la  sofferta convivenza delle due ideologie totalitarie sullo stesso territorio e dentro gli stessi individui.

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