Manifesto della fenomenologia dello spirito

Dal momento in cui la materia si fa altro da sé nasce il soggetto e l’oggetto. Il dentro e il fuori. Il dentro (soggetto) accumula informazioni dal fuori (oggetto) al fine di riprodursi. Per informarsi il soggetto (attivo) si relaziona con l’ambiente in un modo del tutto differente da come il mondo fisico chimico ha operato per miliardi di anni e ancora opera in tutto l’universo. L’azione porta in sé una pulsione che diventa responsabile dell’agito (l’essere per l’azione).

Dalla nascita della vita, appartiene all’essere esistenziale un’ emergenza evolutiva che prende il nome di sensibilità. E la sensibilità si rivolge non solo verso l’ambiente esterno, ma anche verso il sé nel senso della “coscienza” di esistere (l’esserci) limitata nella sua genesi ed estensione per quanto l’essere esistenziale è aperto all’essere. La realtà appare solo mediante l’apertura, ovvero ai mezzi con cui ogni essere esistenziale ha facoltà di relazionarsi alla realtà esterna.

Con la coscienza inizia il processo di individuazione, compare lo spirito (Anima mundi) come emergenza esistenziale e con lo spirito nasce il dualismo spirito-materia, nasce la metafisica che altro non è se non la storia evolutiva della filosofia dello spirito separato dalla materia, la sua fenomenologia attraverso tutta l’evoluzione.

Da che ha avuto inizio la vita il modo di esserci di ogni essere esistenziale è sempre stato differente. La percezione del mondo esterno da parte di ogni essere esistenziale ha subito di volta in volta modificazioni fino ad arrivare all’uomo. Un abisso, e nulla dice che sia finita. Non c’è soluzione di continuità, ma l’apparizione di nuove emergenze ha aumentato la possibilità di conoscenza, apertura verso l’ambiente prima e con la riflessione la percezione del sé da parte dello spirito stesso, poi. Tutto ciò non è una teoria, è un fatto.

Ora, il sentimento del mondo “l’io-sento”, il sentimento di esserci nella cosa e nel modo, è da sempre soggetto a differenziazione ed evoluzione. Si sono creati diversi livelli di percezione sia dell’oggetto, l’ambiente, come di sé, il soggetto: nel legame emotivo, il sentimento di sé e del mondo che l’essere esistenziale ha nell’avvertire sé nel legame emotivo che ha col mondo.
Il ci dell’essere è dunque in una definizione generalissima “amore”, quell’amore che lega il ci al mondo fondato sull’emozione che si ha del mondo ormai non più solo mondo ma nella sua accezione metafisica essente (Heidegger). Nell’universo per quanto grande sia e per quanto grande sia il tempo da cui esiste compare inedita la metafisica (Platone)
Dal sonno della ragione si arriva alla coscienza di sé, dalle tenebre della materia che costituisce l’universo bruto, la cui esistenza è senza senso in quanto non esiste alcunché per cui esistere, miracolosamente arriva ad esistere quel quid per cui esistere e che da senso all’esistenza. Dio è morto e ora lo spirito si risveglia. Una nuova materia capace di sensibilità si estranea ed ex-siste, pur in-sistendo.

La scienza si dedica alla materia evolutiva senza tener conto del sentimento dell’esserci, ma la formulazione teoretica nel logos non rende ragione dell’evoluzione del pathos. Noi in quanto essere esistenziale uomo, ci risvegliamo al mondo nel pathos poi velocemente la ragione dà nome alle cose e il pensiero domina l’essente senza indagare quel ”io-sento” che sta alla radice ed è fondamento di ogni nostro pensiero.

Si discute su quale possa essere l’intendimento di un animale, ma non ci si appropria del suo modo di sentire non ci si sforza di capire il percorso fatto dallo spirito fino a giungere a noi. Con la sola ragione non possiamo prendere coscienza del nostro esserci. Così per noi come nell’animale l’esistenza individuale rimane separata dalla polis.

L’esserci si direbbe un fatto privato, mentre di fatto nel privato noi ereditiamo un’anima ancestrale che rivendichiamo essere noi senza accorgerci che quel noi che noi riteniamo di essere è di fatto un’eredità evolutiva ovvero quanto meno ci appartiene in quanto io. Quel noi che noi siamo è frutto di una lunghissima evoluzione e quei sentimenti che noi chiamiamo “nostri” sono prodotti dall’evoluzione dello spirito. L’io li eredita e li fa suoi in maniera totalmente acritica e se non vengono sottoposti a revisione si conservano come tali per tutta l’esistenza. Allora l”io-sento” immutato sarà il tiranno della nostra esistenza.

Dice Eraclito “Appartiene all’anima un’espressione che accresce se stessa”, indica in pratica la via per l’ascesi, per regalare in morte una persona diversa e possibilmente migliore di quella ricevuta in dono alla nascita. Per morire nella speranza, per morire “ad occhi aperti”(Yourcenar). Se ne deduce che per quanto veicolari del discorso evolutivo noi abbiamo una parte attiva nel progresso dello Spirito, anche se con modalità analoghe ma differenti dall’evoluzione biologica. Nell’ex-sistentia noi giochiamo su un campo diverso dall’evoluzione naturale noi giochiamo nella temporalità, un campo metafisico.

L’io al di qua delle pulsioni che ci legano al mondo rimane uno sconosciuto. l’io prende in adozione il mondo ma al mondo non appartiene, ex-siste, anche se non può manifestarsi che nell’essente, in-siste. L’essere infatti non è un ente. Nello scarto originario che crea la dualità spirito-materia risiede la differenza ontologia. Lo scarto spirito materia fonda lo spirito nell’essere.
Ci si chieda ora se questa trascendenza dello spirito stabilita la sua ex.sistentia non rimandi alla possibilità di un differenziale ontologico tra Essere ed essente.

Tuttavia La differenza ontologica che separa l’Essere dall’essente nulla dice in sé di come l’Essere si manifesti all’essente se non guardando retrospettivamente nel positum della storia. Per capire la fenomenologia dello Spirito tuttavia non è sufficiente studiare lo Spirito nella storia, ma ci si deve obbligatoriamente rifare all’intera evoluzione, dalla cosmo genesi (Psyche cosmos) alla filogenesi (Anima mundi) alla filogenesi culturale (Spirito) .

Rimanendo aggrappati al solo essere esistenziale uomo ogni interpretazione teoretica si fonderà sulla ricerca di una natura, quella umana, che non ha motivo di esistere se non a partire dall’origine del tutto ma solo per fondarsi via via nel tempo attraverso il positum (natura naturata) che non da ragione in sé del senso se non come senso depositato. La spinta evolutiva (natura naturans o fysis) regala diversamente attraverso nuove emergenze che rileggono e riavvolgono il passato reintepretandolo, un nuovo senso che cambia non solo il mondo ma le sue leggi, nella materia come nello spirito.

L’”a che” della differenza ontologica pone in questione l’essere nella sua dimensione metafisica, si tratti della materia come dello spirito. La matrice della differenza ontologica (il clinamen epicureo, il den di Mladen Dolar, il meno di niente di Zizek, l’attimo platonico, il vuoto hegeliano, la Kenosi cristomorfica di Dario Balocco, l’illuminazione nelle religioni orientali o le oscillazioni quantiche …) è qualcosa che non riguarda il solo uomo anche se riguarda l’uomo nella possibilità di superamento dello scarto per l’apertura all’Essere. Forse è proprio l’uomo quel superuomo cui l’essente ha preparato dimora.
Queste dissertazioni teoretiche sono ben lontane dalla loro applicazione a una prassi contingente, una prassi che nel contingente vede il bello e il buono, l’estetica e la morale, categorie dell’essere squisitamente umane.

Il termine “differenziale ontologico” può essere usato in molti ambiti per indicare lo scarto tra grandezze apparentemente incommensurabili, ma deve essere usato con estrema cautela solo per alludere e non per affermare, dal momento che la conoscenza dell’essere non è stata decisa. La differenza tra l’umano e il divino non è strumento rigoroso di analisi neppure in mano ai filosofi. Come la natura ama nascondersi, così al dio piace e non piace si parli di lui.

Le ipostasi metafisiche legate alla storia che segnano nel positum i progressi dello spirito e con i progressi dello spirito regalano alla storia senso, nulla dicono né possono dire su quale delle possibilità aperte prenderanno corso nuove emergenze. Il senso si va depositandosi, il Senso deve ancora venire. L’intonatura, il riavvolgimento sarà per un nuovo essere esistenziale che nell’esserci legherà sé al mondo con una nuova emozione. Beato colui che oggi vede il sol dell’avvvenire.

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