Come spiegare la profonda commozione, non tristezza, che si prova seguendo rapiti per 135 minuti la storia di Manchester by the sea ? Una storia di colpa e di dolore raccontata con gli sguardi e la postura di un uomo qualunque che ci rivela due verità: una, attraverso l’interpretazione di Casey Affleck, che il dolore può essere comunicato e l’altra, attraverso la sceneggiatura di Kenneth Lonergan, che la colpa non può essere espiata.
Manchester by the sea non è un film cattolico e a ben vedere nemmeno cristiano, come per esempio è Mission di Roland Joffé, in cui la colpa del tracotante cacciatore di schiavi spagnolo (Robert De Niro) per aver ucciso il fratello per gelosia si espia nel passaggio dal rimorso alla penitenza e infine alla redenzione.
Manchester by the sea è invece un film mitico, una rappresentazione moderna dell’antico teatro greco, nella sua forma più elevata della tragedia, un film che mette in scena il dramma dell’individuo posto di fronte all’essenza del tragico.
Nel suo distacco emotivo dal mondo Lee Chandler ci appare più gelido dell’ambiente in cui si forza di sopravvivere, isolato e sofferente. La notizia della morte del fratello maggiore lo costringe a tornare nella sua città natale, dalla quale anni prima era fuggito dopo che una notte ubriaco causò incidentalmente l’incendio della casa e la morte dei suoi tre figli. Scagionato dalla polizia, ma non dalla moglie, fallito il tentativo di suicidarsi, si ritira in sé divorato dal senso di colpa per la sua incuria, congelandosi in una esistenza silenziosa e sospesa. Non bastano le frasi di amore della ex moglie che pure superano l’odio per la morte dei figli, forse sarà il rapporto col nipote adolescente, che la volontà del fratello gli affida come tutore, a far intravedere per il futuro uno spiraglio verso la vita. Intanto, sulla barca ereditata, che si è deciso di rimettere in moto, lo zio e il nipote si siedono a poppa a pescare, verso il futuro.
Affermava Nietzsche che la grandezza degli antichi Greci sta nel coraggio di “guardare in faccia il dolore e di conoscere e sentire i terrori e le atrocità dell’esistenza”.