Tramonto dell’occidente o suo sorpasso ?

Il sorpasso_Dino_Risi

Quel fenomeno chiamato globalizzazione,  definito come crescita progressiva delle relazioni e degli scambi a livello mondiale nei diversi ambiti economici e culturali tra i popoli e i luoghi del mondo, dopo l’accellerazione impressale dalla fine della ‘guerra fredda’ ci indica oggi la prospettiva di nuovi equilibri mondiali fondati su più baricentri, quasi coincidenti con i vecchi continenti. Mentre da noi, per esorcizzare la paura del declino, ci si arrovella sui rapporti dell’Italia con l’Euro e il federalismo fiscale, nel mondo si analizzano e discutono le tendenze verso i nuovi “vertiginosi” ordini mondiali.

Il National intelligence Council nel suo ultimo rapporto quinquennale dal titolo “Global trends 2030: alternative worlds” ha perfezionato i risultati della precedente edizione del 2008 confermando il sorpasso cinese degli Stati Uniti in termini di PIL entro il 2030 (si vedano i due articoli Il sorpasso cinese/1 e Il sorpasso cinese/2.).

Una novità dell’aggiornamento consiste nel fatto che il sorpasso avverrà nell’ambito di quello che viene descritto come il “secolo asiatico” (India, Corea, Vietnam, Filippine e Cina).  Lo scenario elaborato dal National Intelligence Council convalida la visione geostrategica di Obama, indicato come “il primo presidente del Pacifico” per vissuto personale e ” soprattutto per la sua lucida visione di un baricentro della storia destinato a spostarsi in quell’area del mondo. Alla quale il presidente ha dedicato i suoi viaggi più importanti: non solo in Cina ma in India, Indonesia, Corea, Giappone, Birmania”.

L’autosufficienza energetica, l’evoluzione tecnologica, la riqualificazione della scuola pubblica e della formazione e la re-industrializzazione sul territorio americano  sono così divenute le principali direttrici di sviluppo della nuova politica degli Stati Uniti, politica detta del soft power, che non rinuncia alla leadership mondiale , questa volta però fondata non più sulla potenza economica e militare, ma sulla capacità di “formare coalizioni basate su interessi comuni”.

E non bastano  le “tigri asiatiche” (volendo considerare il Giappone per la sua storia dalla fine della II Guerra Mondiale come un paese economicamente occidentalizzato) e il soft power americano a spostare gli equilibri nel nuovo ordine mondiale perchè da almeno un decennio concorrono  anche i  “7 leoni dell’Africa” e  gli Stati  dell’America latina  con i loro accellerati sviluppi economici e sociali.

Cosa ne è stato del  motto  di René Dubos “pensa globalmente, agisci localmente” che tanto aveva ispirato progressisti e ambientalisti ?  Di fronte a simili scenari quale senso possono avere le lagnanze di coloro che da oltre un anno gridano indignati contro l’ingerenza dei paesi stranieri (sic!) nella politica nazionale rivendicando il recupero di una sovranità perduta?  Eppure il vero obiettivo dovrebbe apparire loro chiaro, pena la definitiva subalternità dell’Italia ai Paesi europei ed extraeuropei più forti economicamente.  Allo stato attuale della globalizzazione si tratta di concepire per l’Italia all’interno  della Comunità Europea, un ruolo di leadership che sia conforme alla sua posizione geografica nel Mediterraneo (si ascolti Benito Li Vigni, collaboratore di Enrico Mattei) attivare una politica internazionale di alto profilo che la emancipi dalla  sindrome di Crimea.  La rinascita del nostro paese  dipenderà dalla  politica estera che adotterà.

Posta originariamente da Cavour ai Grandi di Europa nel 1856,  la questione italiana ha assunto oggi, con la crisi economica e finanziaria, l’ingerenza Europea nella politica italiana (per altro richiesta dal management politico domestico), la crisi della politica-antipolitica e dei partiti,  i connotati  di un problema non  soltanto di crescita  quanto di consolidamento.  Non si tratta più come all’epoca di Cavour di farsi  riconoscere come un paese unito ed indipendente, ma di  farsi riconoscere come un paese politicamente affidabile ed economicamente sicuro.

E’ nella storia della nostra penisola sebbene territorio per 15 secoli di invasioni, insediamenti e poteri stranieri (altro che l’odierna ingerenza europea) che possiamo tuttavia ritrovare  la principale tra le nostre commodities su cui rifondare un nostro nuovo rinascimento: la cultura.  Oltre a Cavour e l’unità del paese,  oltre all’età delle Signorie e dei Comuni vi fu il Regno di Sicilia che per un secolo e mezzo fu lo Stato più progredito d’Europa accanto al regno inglese.   Federico II, lo  stupor mundi che anticipò il rinascimento italiano di circa due secoli, con il suo regno caratterizzato da una forte attività legislativa e di innovazione artistica e culturale volte ad unificare le terre e i popoli,  con l’esempio della sua corte luogo di incontro fra le culture greca, latina, araba ed ebraica, ci suggerisce oggi un modello di strategia da adottare nel quadro politico economico in evoluzione nel mondo.

Si sostiene che per attrarre  investimenti stranieri (non la vendita di aziende e marchi nazionali) bisogna rendersi prima attraenti economicamente assicurando efficienza e legalità su tutto il territorio. E’ vero, c’è dunque un gran lavoro di ristrutturazione domestica da compiere (le cosiddette riforme), ma  la capacità di produrre risultati da tali riforme dipenderà proprio dalla relazione che il paese saprà sviluppare con il resto del mondo. E per  fare ciò occorre una leadership all’altezza della situazione.  La migliore eredità, forse l’unica, che il Governo Monti ha potuto lasciare proprio in quanto composto da tecnici è stata l’indicazione metodologica  per la formazione di un governo politico che avesse come unici criteri di selezione il merito e la competenza.  Poichè il prossimo governo sarà costituito per la terza volta in costanza di una legge elettorale aberrante , la  selezione dei politici sarà responsabilità esclusiva dei partiti e costituirà il banco di prova per verificare la reale possibilità di un avvio del rinnovamento italiano.

Ancora può aiutarci René Dubos con la  seguente riflessione: “Fin dalla preistoria, la terra non è mai stata un Giardino dell’Eden, bensì una Valle delle Decisioni in cui l’adattabilità è cruciale per la sopravvivenza. La terra non è un luogo di riposo. L’uomo è stato creato per combattere, non necessariamente per sé stesso, ma per un continuo processo di crescita emozionale, intellettuale ed etica. Crescere in mezzo ai pericoli è il destino della razza umana, perché questa è la legge dello spirito”. (René Dubos – Mirage of Health, New York, 1959)

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