La democrazia statistica

Roberto Calasso nel suo ultimo libro “L’innominabile attuale” osserva che “a distanza di un secolo esatto si è passati dal dadaismo al dataismo, da Dada a Big Data”. Ricordando che Dada “fu il momento della sconnessione universale, rivendicata e perseguita attraverso una sistematica abrasione del significato”, mentre il dataismo “è il momento della connessione coatta che sopprime tutto ciò che le sfugge e dove ogni soggetto diventa un fiero e irrilevante soldatino di silicio in un esercito di cui tutti ignorano dove si trovi – e se vi sia – lo Stato Maggiore”. 

Ebbene, nell’impero dei dati accade che i sondaggi abbiano sostituito gli oroscopi, troppo dipendenti dal cielo.  Si dichiara di poter conoscere l’opinione pubblica su ogni argomento per mezzo di rilevazioni statistiche eseguite attraverso contatti telefonici e software dedicati. Dovendo ricercare un equilibrio economico tra costi e benefici le interviste dovranno, però, essere limitate selezionando un “campione” (gli intervistati che accettano l’intervista) da delegare per inferenza (in virtù della loro selezione stratificata per età, genere, istruzione, appartenenze geografica e censuaria) a rappresentare l’opinione dello “universo” (tutta la popolazione). In genere, una base campionaria di circa 1000 (800 – 1200) soggetti è ritenuta necessaria e sufficiente a rappresentare l’intera popolazione. Ormai con l’ossessivo uso dei sondaggi da parte dei mass media tutti si sono convinti della scientificità dei sondaggi e nessuno più si pone il dubbio sul senso di tali consultazioni.

Tuttavia, se prestiamo attenzione alle note che, in caratteri minuscoli, accompagnano gli esiti dei sondaggi, possiamo ancora rilevare la loro inconsistenza. Un esempio per tutti: un recente sondaggio presentato come rubrica settimanale in un TG mostra gli esiti a domande di natura politica e sociale su un argomento di attualità. Tralasciando di commentare la formulazione delle domande e i commenti stessi che accompagnano l’esposizione, si apprende che il campione selezionato era composto da circa 6000 soggetti di cui 1000 rispondenti (dai quali sono state ricavate le percentuali) e 5000 ca. non rispondenti, il che significa che gli esiti riportati in forma percentuale si riferiscono al 17% del campione selezionato. In altri termini, 83% degli intervistati non risponde alle domande rivelando un assenteismo assai superiore a quello che ha contraddistinto, per esempio, la consultazione politica del settembre 2022 che ha registrato il 40% ca. Eppure, così come i politici al governo (44% dei voti ottenuti dal 60% dei votanti, ovvero ca. dal 24% degli italiani aventi diritto al voto) sostengono di rappresentare il volere della “maggioranza degli italiani”, così gli analisti e commentatori sostengono di conoscere il pensiero della popolazione italiana.

La politica “legittimata” dal voto si accompagna al pensiero “rilevato” dal sondaggio.In questi ultimi anni si è costituito un ricco mercato di agenzie di “consulting”, le cui prestazioni sono appaltate dalle istituzioni politiche e governative, che hanno fatto dei sondaggi il proprio “core business” fondendo le ricerche di mercato con i sondaggi politici con l’adozione degli stessi strumenti a testimonianza che la preferenza espressa dal voto per un partito (o quella relativa ad un dato argomento) è uguale a quella per uno yogurt. A ben vedere i sondaggi, parte integrante dei palinsesti di tutti i mass media, più che conoscere l’opinione pubblica la confezionano ricorrendo alle collaudate tecniche della comunicazione pubblicitaria. Una profezia che si autoavvera somministrando quesiti come fossero farmaci a cittadini ridotti a consumatori dal marketing politico. Abbandonate le certezze religiose e ideologiche si vive ormai nell’incertezza del mercato, con piedi e testa messi per terra e confinati dalle percentuali. Tra “ci sei” e “ci fai” non c’è più soluzione di continuità: pensiero unico e coscienza stroboscopica in un regime scientista di democrazia statistica

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