Per una repubblica fondata sul lavoro.
Quando penso alle differenze culturali e di mentalità. Mentre in Germania, paese tanto criticato per la sua ostinata e forse cinica difesa del rigore nei conti pubblici, l’AD del gruppo Volkswagen afferma che “(…) E non dimentichiamoci che per vincere nel mondo dell’auto non contano solo i numeri delle auto prodotte e vendute, bensì anche la qualità del prodotto e la concertazione col sindacato“, nel Bel Paese Italia l’AD di Fiat dichiara: “L’unica cosa che conta sono gli stabilimenti e i lavoratori che abbiamo e se le macchine vengono vendute. Siamo una multinazionale. Andiamo dove si fanno affari, siamo nomadi“.
Siamo in piena decrescita, con la disoccupazione salita al 9,2%, le esportazioni ferme, gli investimenti fissi lordi scesi del 2,4% e i consumi arretrati ai livelli di 30 anni fa, e i Sindacati, vengono messi all’angolo dal Governo e costretti alla strenua difesa dello “articolo 18” come emblema di un diritto acquisito e alla rivendicazione del “posto fisso”, come fossero simulacri di una realtà perduta.
Al di là degli esiti del confronto in atto tra Governo e Sindacati sulla riforma del lavoro, lancio un appello alla sig.ra Camusso e sig. Landini, così articolato:
i) voi avrete pure le ragioni delle armi della critica, ma siete vittime della vostra stessa critica delle armi; a ottanta anni dalla Rivoluzione d’Ottobre liberatevi e liberate i lavoratori dall’ossessione del padrone concepito come nemico di classe;
ii) prendete atto che lo “scontro di classe” nell’era della globalizzazione dei mercati non paga perché aumenta la conflittualità interna nel Paese, già caratterizzato da una debole economia, a fronte della crescente conflittualità tra i mercati internazionali;
iii) i tempi richiedono che sindacati maturi siedano nei consigli di amministrazione, o di sorveglianza, per prendere parte attiva e responsabile nel governo dell’economia: dalla concertazione alla cogestione, perché il bene è comune.
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