Crisi economica o crisi del sistema economico?
La caduta del muro di Berlino e gli attentati del 11 settembre 2001 confermarono a Francis Fukuyama il concetto di fine della storia: una “storia universale” direzionale dell’umanità che ha raggiunto il suo culmine con le attuali democrazie liberali, di contro alle “storie nazionali” con le loro regressioni, opposizioni, condanne o ritardi rispetto al destino del mondo.
Oggi, i movimenti di protesta della ‘Primavera araba’, degli ‘Indignados’, del ‘Piraten Partei’ tedesco ed ora dello “Occupacy Wall Street” negli USA, rivolti contro le Banche, la speculazione finanziaria, la riduzione del welfare state, la mancanza di lavoro e del futuro, sono da considerarsi ‘storie nazionali’? Anche quelli che sono sorti nei paesi dalle più solide democrazie?
Si osservi in questi movimenti spontanei il combinarsi di due caratteristiche:
i) il tratto anti ideologico, in quanto si pongono al di là delle collocazioni tradizionali della appartenenza politica a destra/sinistra , al di là dei generi, al di là della età e delle classi sociali;
ii) il tratto radicale, in quanto le critiche convergono sul sistema economico e sociale, accusato di essersi scollegato dalla produzione e di pretendere di esistere basandosi sulla sola Finanza. Si direbbe che queste proteste abbiano dato voce alla teoria marxiana del valore, in particolare alla transizione dal ciclo Merce-Denaro-Merce a quello del Denaro-Merce-Denaro, e quindi al Denaro-Denaro (dal sito www.circolodegliscipioni.org suggeriamo un’interesante analisi sulle vere ragioni dell’attuale crisi).
Certo, è prematuro ipotizzare che questi movimenti possano diventare forze capaci di determinare quei cambiamenti nella politica e nella società che molti di noi auspicano. Tuttavia, il loro fascino fa ricordare quanto Hegel scrisse nella Fenomenologia dello spirito: “La frivolezza e la noia che invadono ciò che rimane ancora, il presentimento vago di qualcosa di sconosciuto sono i segni premonitori di qualcosa d’altro che è in cammino”