Democrazia e maggioranza.
Questa presentazione potrebbe avere per titolo: il parafulmine!.
” A me non piace che gli Ateniesi abbiano scelto un sistema politico che consenta alla canaglia di star meglio della gente per bene. Poichè però l’hanno scelto, voglio mostrare che lo difendono bene il loro sistema e che a ragion veduta fanno tutto quello che gli altri Greci disapprovano. (…)”
(La citazione è attribuita ad un anonimo ateniese del V° secolo a. C., verosimilmente un esponente della aristocrazia punito con l’esilio, che si vendicò scrivendo un opuscolo contro il sistema democratico allora vigente in Atene. La democrazia come violenza – Anonimo ateniese del V° secolo a. C. – Ed. Sellerio, Palermo, 1991)
Siamo consapevoli che con questo incipit offriamo ai cultori del “politicamente corretto” la facile occasione di rivolgerci l’accusa, per altro oggi molto diffusa, di essere antitaliani e antidemocratici, o, peggio ancora, intellettuali eccentrici ed elitari incapaci di comprendere la complessità del mondo contemporaneo.
Tuttavia, noi riteniamo che mentre l’aristocrazia nobiliare non debba meritare alcuna nostalgia, la riscoperta della realtà e del valore dell’ eccellenza (aristos, secondo Platone) sia al contrario oggi un’operazione virtuosa e quanto mai necessaria, se desideriamo davvero risollevare la prospettiva di una democrazia che appare oggi seriamente compromessa da problemi etici, ancor prima che dai problemi economici.
Ma chi sono oggi i migliori? Alcuni osservatori qualificati quali economisti, politici, imprenditori e manager, riflettendo sul degrado politico, istituzionale e morale diffuso nel nostro paese hanno da tempo esternato preoccupazione e manifestato perplessità su come sia stato possibile attraverso le modalità democratiche selezionare una classe dirigente, in particolare quella politica, così scadente. Tali critiche si sono accompagnate poi ad espliciti richiami all’esigenza di introdurre la meritocrazia e di premiare l’eccellenza.
Tempo fa un noto manager auspicava per il nostro paese un “governo dei migliori”, mentre un politico, nel presentare il programma fondativo del suo partito, usava l’espressione, per noi preferibile, “la democrazia dei migliori”.
Noi consideriamo la democrazia come la forma di governo dei popoli più avanzata, ma occorre fare attenzione e distinguere il modo di gestire il potere dal modo di selezionare i governanti.
Se da una parte la separazione dei poteri, il riconoscimento delle regole e delle istituzioni terze, la ricerca della condivisione attraverso la trasparenza dell’azione e il dialogo tra minoranza e maggioranza, costituiscono i capisaldi del modo democratico di governare un popolo, è pur vero dall’altra che la criticità che le democrazie contemporanee mostrano ormai con evidenza risiede nella “violenza” della maggioranza, conseguente al processo di selezione dei governanti.
In altre parole, se la democrazia è rappresentativa, le questioni sono: chi può meglio rappresentare gli interessi del popolo? In quale modo si può garantire la formazione di una classe dirigente competente e responsabile, che sia all’altezza della complessità del governo della cosa pubblica?
Noi riteniamo che non si debba confondere la forma di governo con la qualità delle persone. Non è qui in discussione, infatti, la necessità di un governo dei migliori, che tutti auspichiamo, ma le modalità di selezione dei governanti.
A parte le sue origini greche, la democrazia così come si è evoluta dall’illuminismo ad oggi prevedeva che all’allargamento del potere al popolo corrispondesse un’adeguata evoluzione culturale dello stesso (in questa prospettiva va a nostro parere colto il senso del progetto dell’Encyclopédie).
La democrazia porta con sé la cultura o non è democrazia.
Tale intima e profonda ragione che lega la cultura alla democrazia non può accettare per esempio riduzioni di risorse alla scuola, alla formazione e alla ricerca scientifica. La scuola deve rimanere prevalentemente pubblica e la formazione deve poter essere continua nella vita della persona. Quanto poi alla ricerca scientifica, essa non deve essere limitata dalla paura indotta dalle sue scoperte, ma guidata dall’interesse generale e sostenibile.
Nel governo e nella costituzione della classe dirigente politica va riconosciuto il rispecchiamento della cultura di un popolo. Tra le due entità politica e cultura la relazione è biunivoca, nel senso che le scelte della politica concorrono a determinare il livello culturale del popolo e quest’ultimo stabilisce con la propria partecipazione il livello e la qualità della politica. Del resto un criterio di valutazione della qualità del management di una azienda è costituito dall’individuazione delle capacità dei collaboratori che il capo si è scelto per costituire la propria squadra, secondo il vecchio adagio “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”.
La politica culturale non va intesa dunque come una linea d’azione di un programma politico, ma come l’essenza stessa della politeia.
D’altra parte, se il livello culturale di un popolo non progredisce con una velocità almeno pari a quella con la quale si generano i problemi nella società, accade che la scelta della classe dirigente si appiattisca inesorabilmente al livello più basso acquisito. Ai livelli più alti di equilibrio raggiunti, la cultura ha bisogno di una maggiore energia per mantenersi. Sappiamo che sarebbe sufficiente un arresto nella trasmissione culturale per due o tre generazioni e l’umanità ritornerebbe all’età della pietra.
Oggi assistiamo nel nostro paese al fatto che alle cariche istituzionali e al governo accedono spesso non le personalità migliori, che pure esistono ed operano nel paese confinate nel proprio privato, ma rappresentanti del popolo che “sono come il popolo”. Si potrebbe definire il fenomeno come un “imperativo statistico”, con riferimento in questo caso al prevalere della “moda”, ovvero dei valori più frequenti: i governanti rappresentano la moda. E gli uomini politici contemporanei così selezionati si fanno vanto di essere non per il popolo, non soltanto con il popolo, ma proprio come il popolo. A loro questa identificazione totale appare come la realizzazione compiuta della democrazia.
Troppi politici, sia di destra che di sinistra, si sono convinti che la democrazia è il potere derivato dalla maggioranza dei numeri: i voti non si pesano, si contano. Potenza e fascino del numero! Il fondamento razionale della democrazia è appunto la statistica.
A esemplificazione di quanto asserito vorremmo riportare quanto detto da un rappresentante politico dell’attuale governo, durante uno dei tanti talk show televisivi, ha molto bene espresso questa deformazione di pensiero, e della morale.
Talune candidature femminili alle elezioni politiche sono state giudicate inconsistenti in quanto giovani donne provenienti dal mondo dello “spettacolo”, stimate più per la loro presenza che per i curricula. Il nostro esponente politico faceva osservare che, al contrario di quanto veniva osservato criticamente, tali candidature costituivano proprio un esempio di buon governo democratico, perché una vera democrazia in quanto rappresentativa deve poter consentire ad ogni componente presente nella società il diritto di avere una sua rappresentanza politica.
Potenza del lapsus, davvero noi siamo parlati dalla lingua! La raccogliticcia cultura politica di quel piccolo yes-man (l’Uomo Nonsai, come ci suggerisce Bergonzoni riferendosi alla particolare coltura giapponese delle piccole piante ) addestrato con corsi full immersion dalla scuola di formazione politica del suo partito sulle tecniche del marketing e della pubblicità, confondeva il processo di selezione di una classe dirigente politica con il metodo della formazione dei “campioni rappresentativi dell’universo”, utilizzati nei test statistici e nei sondaggi d’opinione.