Cultura e democrazia nella società dell’informazione
Risposta. La differenza è sostanziale e risiede nella visione stessa che si ha della Cultura. Per la concezione umanistica, la cultura è intesa come coltivazione dell’animo umano, mentre per quella antropologica essa è un insieme delle idee e comportamenti di un popolo o di una società. Tuttavia, in entrambe le prospettive, l’educazione di un individuo può essere concepita come il tentativo di ricapitolare la civiltà cui esso appartiene, proprio come avviene con maggiore determinismo in biologia, dove l’ontogenesi ricapitola la filogenesi.
Il sapere, i valori, gli ideali, le credenze, le idee non sono beni da acquisire, di cui appropriarsi acquistandoli o rubandoli, su cui quindi si possa esercitare un diritto di proprietà, ma sono dei codici da assimilare e da agire per essere nel mondo. Sappiamo quanto l’età moderna della nostra storia occidentale sia denotata dall’idea di progresso della conoscenza: la Scienza ha fornito all’uomo la coscienza della sua evoluzione, conferendo alla cultura ogni potere. Le idee sono dunque una componente del nostro essere appartenente all’umanità. L’uomo è responsabile perchè è libero e non esiste un copyright della Cultura, in quanto questa è patrimonio dell’Umanità. Se dunque riconosciamo alla Cultura il valore aggiunto rispetto alla evoluzione biologica dell’uomo, allora dobbiamo prendere atto anche della sua apertura e della sua natura essenzialmente democratica. Ogni privazione della conoscenza o limitazione alla trasmissione culturale tra individui, tra popoli e tra generazioni è frutto di una concezione fissista dell’uomo, di un potere assolutista e involutivo. Non ci conforta in questo la Bibbia per la quale, il peccato originale, ispirandosi al mito greco di Prometeo, è la conoscenza, la pretesa dell’uomo di essere come Dio e dunque farne a meno.
I filosofi, scienziati, poeti, artisti, letterati hanno scritto perché l’umanità ne traesse vantaggio e non possono aver desiderato altro nella loro esistenza, a parte altre possibili motivazioni contingenti e di carattere personale, che tutti potessero avvalersi del loro contributo di pensiero per vivere meglio. In altre parole, intendo affermare che, così come nella vita quotidiana utilizziamo inconsapevolmente la matematica o le leggi scientifiche o ancora invochiamo uno dei Dieci Comandamenti senza avvertire il bisogno né il dovere di citarne la fonte, di altrettanta libertà dobbiamo poter disporre quando facciamo uso del pensiero e delle idee elaborate da altri. Ho avuto inizialmente la tentazione di evidenziare in corsivo le citazioni integrate nel testo, magari allegando una bibliografia, ma sarei venuto meno in tal modo alla mia concezione della cultura, privando inoltre il lettore del piacere di riconoscerle e di recuperarne le fonti.
Quanto a me, ho sempre provato un’intima e profonda soddisfazione nel riscontrare in un autore magari vissuto secoli fa gli stessi miei pensieri, un’affinità nella visione del mondo, la medesima risonanza delle emozioni come quella che si sperimenta con l’ascolto della musica. E’ stato così che mi sono sentito di appartenere all’umanità e alla storia. Non abbiamo bisogno di cercare intelligenze aliene: non siamo soli sul nostro pianeta.
Domanda. Oggi ricorrendo ai concetti di comunicazione e d’informazione si potrebbe esprimere una posizione analoga, pensando soprattutto ad Internet.
Risposta. In effetti il vero valore dell’informazione, al di là del suo contenuto di senso, sta nella sua libertà di circolazione, non necessariamente nella quantità di informazioni o nella velocità di diffusione. Se l’informazione viene manipolata od occultata da chi la produce, la detiene e la distribuisce essa diventa una merce, ovvero uno strumento di controllo sugli uomini che vengono in tal modo gerarchizzati, distribuendo loro gradi diversi di accessibilità all’informazione, sempre però avendo i due limiti della censura e del segreto. Si può riconoscere in questa pratica il cinismo del potere, secondo il quale il popolo quando afferma di volere la verità, alla quale per altro le costituzioni democratiche danno loro il diritto, in realtà vorrebbe soltanto delle spiegazioni.
Domanda. E’ indubbio il fascino che internet esercita su molti intellettuali e leader politici, al punto di farla considerare come la nuova agorà dove il popolo della rete può esprimere la più alta forma di democrazia partecipata. Tuttavia nella sua analisi la “rete delle reti” sembra non essere accolta con grande entusiasmo, anzi si potrebbe intravedere nelle perplessità manifestate una critica della civiltà della tecnica o più semplicemente una nuova edizione della resistenza al cambiamento, come avvenne in passato per l’avvento della stampa e successivamente per l’introduzione delle macchine nel processo produttivo.
Risposta. Non sottovaluto affatto le potenzialità delle tecnologie Itc, al contrario vi vedo uno strumento di straordinaria capacità evolutiva per l’uomo, una vera protesi della intelligenza che consentirà l’espressione di quel surplus di capacità del cervello che sappiamo essere in gran parte oggi sottoutilizzato. Tuttavia, l’intenso e veloce sviluppo di queste tecnologie pone all’individuo il serio problema di una capacità di adattamento che ancora non ha. Posti di fronte ad un computer ci rendiamo conto che per utilizzarlo al meglio e quindi ottenere il massimo dei benefici che può dare necessita che il nostro cervello si adatti al sua hardware e al suo software. Il computer per poter esprimere il suo massimo potenziale ci richiede di ragionare come lui, che è digitale sia nell’hardware che nel software, mentre noi siamo digitali nel nostro ambiente interno del sistema nervoso, l’elaborazione, ma siamo analogici nel comportamento verso l’ambiente esterno, la percezione. L’emergenza della cultura digitale ha creato una svolta radicale nella storia dell’umanità, le cui conseguenze ancora ci sfuggono in gran parte, ma quando fossero integrate alle scoperte della biologia potrebbero portare la specie umana ad un nuovo livello evolutivo, forse non solo culturale ma anche biologico. Fantascienza? Forse, ma, ricordando per esempio che quattro quinti della materia che compone l’Universo è di natura ancora sconosciuta e che è trascorso appena un secolo dalla scoperta di una forma di energia di straordinaria potenza non percepibile dai nostri sensi, io ritengo che convenga ragionare con la massima apertura e in ogni caso non ho dubbi che si commettono meno errori liberando l’immaginazione di quanto se ne commettono limitando il progresso delle scienze.
Domanda. Tutto ciò può valere per la scienza in generale, ma focalizzando l’attenzione sul caso d’internet, in particolare il cosiddetto web.2, le chiedo se per lei è auspicabile il suo uso diffuso e generalizzato ai fini della diffusione e della crescita della democrazia.
Risposta. Il vero problema posto da internet non è tanto il suo uso libero o controllato, quanto l’effetto amplificatore ed al contempo ridondante che esso genera nella comunicazione, per il quale posso in un tempo minimo acquisire e diffondere una massa d’informazioni che non sono in grado poi di elaborare tempestivamente. Dov’è qui il processo di riflessione, il “lavoro psichico” come lo intende la psicanalisi? Davvero si tratta di diffusione di idee e di pensieri o piuttosto di scambio compulsivo di opinioni? Si elabora e si decide una risposta o si aderisce o rifiuta un’opinione stimolo preconfezionata?
Una cosa infatti è l’impiego del sistema numerico binario per il funzionamento della macchina, altra cosa è ridurre il soggetto ad uno stato afasico di risposte a livello si/no, ad una coscienza ridotta allo stato di un interruttore che può accendersi o spegnersi. Abbiamo in passato criticato l’uso dei test a risposta chiusa tramite crocette come sistema non valido nella valutazione dell’apprendimento; perché dovremmo credere ora che un regime di perenne stato referendario ci renda più democratici e partecipativi? Ho l’impressione che folgorati sulla via della tecnologia abbiamo in realtà acriticamente accettato la logica del marketing che vuole il consumatore, magari informato, ma passivo e addomesticato.
Domanda. Si è osservato che la velocità di trasmissione delle comunicazioni nella messaggistica, quali sms, mms, youtube, blog, twigger, e-mail, eccetera induce l’uso di uno pseudo linguaggio, quasi un gergo costituito da una scrittura per segni e simboli, che viene considerata spesso una regressione.
Risposta. Quando non si sa più leggere e scrivere non si sa più pensare. Sono di formazione scientifica e mi professo convinto sostenitore della tecnologia, tuttavia ritengo che a spiegazione del fenomeno del così detto ‘analfabetismo di ritorno’, recentemente quantificato in valori impressionanti nel nostro paese, concorra almeno per quanto riguarda le nuove generazioni proprio la diffusione delle forme comunicative utilizzate sulla rete. Una realtà virtuale in cui i messaggi vengono costruiti affidandosi prevalentemente alla percezione visiva immediata, dal momento che l’obiettivo dei gestori dei siti, appresi gli insegnamenti dei linguaggi del cinema, della televisione e della soprattutto della pubblicità, è la densità spaziale dell’informazione, ovvero quello di riempire quanto più possibile di messaggi lo spazio dello schermo. Se è il mezzo a determinare la comunicazione, allora il linguaggio della comunicazione via web è quello più veloce, in tempo reale, costituito di parole-immagine che non devono essere lette, ma viste, percepite. Così dalla parola, sintesi di una elaborazione di significato, si torna all’immediatezza del gesto, apparentemente più concreto ed efficace che può confondersi con l’azione.
Domanda. E’ pur vero che in questi ultimi tempi vi sono state occasioni di comunicazione politica via internet, attraverso i così detti social network come per esempio Facebook e Twitter, con adesioni ad appelli divulgati a salvaguardia per esempio della Costituzione o per contrastare leggi giuducate negative. Sono anche questi esempi dunque da ritenersi viziati ?
Risposta. Questi eventi sono fenomeni positivi fin quando vi prevale la forte motivazione derivante dal contenuto dei messaggi, ma qualora queste azioni diventassero sistematiche ed abituali, il rischio che si correrebbe è che la partecipazione stessa perda di significato e che il gesto della digitazione su una tastiera diventi un rituale di una nuova liturgia massmediale. Un po’ come avviene con quel gioco per cui ogni parola ripetuta più volte perde il significato per diventare un suono strano, o come il fenomeno per il quale una falsità che esce da giornali e televisioni, da alcuni anni ahimè anche dai governi e dalla politica, purchè ripetuta possa diventare accettabile come una verità. Alla perdita di senso si aggiunge inoltre la tendenziale perdita di responsabilità in relazione alla facilità di una pratica che si riduce ad un comportamento gestuale e in relazione alla sicurezza procurata dall’anonimato. Si osservi infatti come nei blog, negli indirizzi e-mail prevalga l’uso di pseudonimi con i quali si cela la propria identità. La maschera di carnevale ci libera nell’espressione.
Domanda. Forse il problema è la velocità del cambiamento che richiede tempo per assuefarsi al nuovo mezzo. In altre parole, al progresso tecnologico in campo informatico non corrisponde un progresso sincronizzato nella formazione degli utenti….
Risposta. Mi conceda un aneddoto. Quando lavoravo come dirigente nell’Amministrazione pubblica, l’introduzione delle e-mail fu accolta apparentemente con grande entusiasmo. Per me subito essa diventò il mio strumento lavorativo d’elezione nell’esercizio delle mie funzioni perché mi consentiva di realizzare un principio a me caro: pensare a lungo e agire rapidamente. In pochi secondi più persone dislocate in luoghi diversi potevano ricevere, interagendo in tempo reale, disposizioni, indicazioni e informazioni che se confrontate con le vie tradizionali della posta cartacea avrebbero richiesto giorni o settimane (e maggiori risorse). Non tutti i colleghi dirigenti oltre agli amministratori politici e agli impiegati, mostrarono però lo stesso entusiasmo. Alcuni tra loro non aprivano la posta per non prenderne atto, altri non lo facevano perché ritenevano il formato elettronico privo di valore legale, altri ancora, i più irriducibili, stampavano la e-mail per poi spedirla in formato cartaceo come allegato ad una lettera accompagnatoria, tradizionalmente protocollata, altri infine si limitavano ad usarla per avvisare dell’invio cartaceo via posta del documento o più spesso ancora per inviare comunicazioni private, come saluti, auguri. Quelli poi con maggiori responsabilità, quali dirigenti apicali e amministratori politici, delegavano le proprie segretarie ad aprire le e-mail ricevute, a stamparle e così ricondotte alla forma della tradizionale corrispondenza, e quindi presentarle loro per la presa visione. Già, perché una verità che questa tecnologia aveva subito svelato a tutti era la perdita di senso di certi status symbol attribuiti agli uomini di potere quali per esempio la stessa segretaria, dal momento che la posta elettronica consentiva di essere gestita personalmente e (se poi unita alla teleconferenza e videoconferenza) di eliminare inoltre molti spostamenti per inutili e costosi incontri e riunioni.
Domanda. L’enorme successo di Wikipedia in questi dieci anni dalla sua messa in rete, 60 milioni di consultazioni al giorno, suggerisce a molti un ulteriore esempio della democraticità di internet: una cultura che nasce dal basso. Ne condivide anche lei l’entusiasmo?
Risposta. Io considero Wikipedia e tutte le iniziative che portano la Cultura nella universalità della rete operazioni culturali rivoluzionarie, paragonabili a quella avvenuta cinque secoli fa con la traduzione della Bibbia dal latino in tedesco e la sua stampa, che da allora ne permise la diffusione al di fuori del controllo della Chiesa. Tuttavia, secondo la mia visione del problema, non si tratta di una “cultura fatta dal basso”, piuttosto della diffusione orizzontale della cultura esistente, non importa qui se alta o bassa, per opera di volontari che agiscono al di fuori dei circuiti della cultura accademica. Questo suggerisce a me una buona pratica di democrazia, di ciò che vuole dire essere per il popolo. Tuttavia, mentre Wikipedia cresce e si diffonde, un altro progetto innovativo, a mio parere ancor più rivoluzionario, destinato a sconvolgere ogni rapporto esistente con la cultura e dagli sviluppi imprevedibili, è stato recentemente annunciato: il progetto di Google di digitalizzare tutte le biblioteche del mondo, al fine di rendere disponibile a tutti la consultazione on-line di tutti i libri esistenti: la realizzazione virtuale della Biblioteca di Alessandria. Già avviato attraverso accordi con alcune tra le principali Biblioteche USA universitarie e nazionali, tale progetto rivela una valenza di portata pari solo al Progetto Genoma Umano, già da alcuni anni concluso. Anche’esso può apparire evidentemente come un progetto ambizioso e di difficile completamento, ma sotto ogni svolta rivoluzionaria del pensiero e della scienza dobbiamo riconoscere la realtà e il valore di quei lavori poco visibili con i quali si mette ordine nel sapere e i risultati che ne derivano costituiscono letteralmente il fondamento, al punto che col tempo non ci meravigliamo più del loro uso. Penso agli esempi della costruzione di Vocabolari e Dizionari, dei criteri di classificazione in una scienza, alla realizzazione appunto del Progetto Genoma Umano, sorta di dizionario dei geni dell’uomo. Rilevo poi che il fatto che quest’ultimo Progetto sia diventato, almeno nelle sue componenti più tecnologiche, una proprietà privata attraverso i brevetti, ci ricorda la realtà economica in cui ancora viviamo, ma nulla toglie al suo contenuto rivoluzionario e liberatorio, talchè da subito prese forma una protesta nel mondo intero e negli USA in particolare, dove la cosa era avvenuta e dove lo stesso allora Presidente degli Stati Uniti si era espresso parzialmente a favore per liberalizzare l’accesso a quelle informazioni perchè ritenute essere patrimonio dell’intera Umanità. Più recentemente la Casa Bianca si è espressa contraria anche alle proposte di legge del Congresso SOPA/PIPA che volevano bloccare internet con la scusa della difesa dei diritti di autore. Io penso che Internet, Wikipedia e il progetto Google possano essere considerati come la realizzazione del sogno illuminista dell’Enciclopedia Universale.
Domanda. Se lo scenario è quello da lei così tracciato e che accomuna i Protestanti con gli illuministi e con i sostenitori odierni di una internet libera senza limiti, c’è da chiedersi come la Università e la Scuola potranno adeguarsi.
Risposta. E’ questo uno dei problemi cruciali della società contemporanea. Accade già oggi che dalla ricerca assegnata ai bambini della scuola elementare fino alle tesi di laurea presentate nelle Università, Wikipedia e Google rappresentino ormai una fonte irrinunciabile per il reperimento delle informazioni che servono per le loro elaborazioni. Un data base, Wikipedia, costituito oggi da oltre 10 milioni di voci o articoli tradotti in 250 lingue fanno ben storcere il naso al mondo accademico che ha instillato, immediatamente come un riflesso incondizionato, il dubbio sull’attendibilità delle informazioni in esso contenute. Più realisticamente, e modestamente, gli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado non si fanno certo alcun scrupolo nell’usare l’enciclopedia on-line per la propria formazione e aggiornamento ed anche per l’esigenza di mantenere un rapporto di parità e un contatto con i nuovi discenti, spesso più smaliziati di loro.
Certo è che a fronte degli sviluppi potenziali di queste tecnologie le riforme scolastiche, in particolare le sedicenti tali del nostro paese, appaiono ridicole. Piuttosto che insistere con programmi strutturati per materie che pretendono di approfondire, sia pure a diversi livelli, tutti i temi dello scibile umano, occorrerebbe reimpostare diversamente e radicalmente l’insegnamento dando maggiore importanza al metodo di studio e quindi all’uso degli strumenti moderni dell’ITC che consentano agli allievi di “navigare” con proprietà e sicurezza tra le varie discipline, acquisendo la capacità di costruire al momento e in autonomia il sapere al livello adeguato al compito richiesto. Tutto questo, naturalmente, senza rinunciare ad una formazione più completa ed esauriente della persona che solo la relazione umana e la cultura umanistica possono garantire. Vorrei concludere, se me lo permette, descrivendo uno scenario futuro affascinate e realistico. Vi propongo una sorta di esperimento teorico per espandere la coscienza. Immaginiamo che tutti i libri, gli articoli, le ricerche, le opere che costituiscono lo scibile umano fossero digitalizzati in una enorme rete di ipertesti, su cui poter eseguire le più diverse elaborazioni. Immaginiamo quindi di avere l’interesse, magari semplicemente dettato da una esigenza quotidiana, a comprendere un determinato argomento. Estraiamo inizialmente tutte le fonti disponibili, per esempio i diversi autori che si sono applicati a quel argomento e cominciamo a creare quanti più possibili hyperlink inseguendo le nostre ipotesi o intuizioni. Ebbene, solo accostando tra loro diverse tesi ed opinioni espresse nel tempo su un medesimo argomento, utilizzando cioè un metodo che ben conoscono i critici e gli studenti estensori di tesi di laurea compilative, quante nuove ed interessanti verità potremmo svelare, verità che gli stessi singoli autori non avrebbero potuto nemmeno immaginare? Si tratta di una ricombinazione di idee, in analogia a quanto avviene per la costituzione di un nuovo genoma in un nuovo essere a partire dai geni parentali: le nuove idee come nuove vite.
Domanda. In attesa di questo Eden della conoscenza, il dilemma che queste tecnologie ci pongono rimane quello di stabilire se le regole della democrazia possano essere o meno applicate alla scienza.
Risposta. Si sostiene che Wikipedia sia democratica perché, in quanto conoscenza che si costruisce dal basso, alla produzione della verità si può arrivare attraverso l’accumulazione degli apporti e delle correzioni collettive. Questa convinzione procura non poche preoccupazioni al nucleo fondatore dell’enciclopedia nella misura in cui stabilisce la regola, in verità non democratica, secondo cui la maggioranza ha ragione. Ci troviamo ancora una volta all’interno di un pensiero ideologico che concepisce il popolo depositario di una naturale saggezza, secondo il celebre detto che la voce di popolo è la voce di Dio. Il problema in realtà non si pone in questi termini, tale impostazione è frutto piuttosto della scarsa conoscenza e assimilazione della logica del pensiero scientifico. Innanzitutto perché alcuni elementi fondamentali della concezione democratica sono costitutivi della scienza, in quanto questa si fonda sulla dialettica, potenzialmente aperta a tutti, di verificabilità e falsificazione delle proprie formulazioni. Il vero problema che dovremmo porci è in realtà il contrario, ovvero chiederci se è possibile applicare le regole della scienza alla democrazia. La visione sopra discussa di internet come un’agorà ne rappresenta secondo me una valida piattaforma adeguata ad impostare la ricerca di un risposta corretta al problema.
( segue Una nuova aristocrazia per il popolo)