L’Etica
Recentemente ha fatto notizia il risultato di una ricerca sociale secondo la quale l’infelicità che sembra essersi diffusa tra i cittadini delle ricche società occidentali sia da mettere in correlazione con la disparità della distribuzione della ricchezza. In altre parole, si sarebbe dimostrato scientificamente (sic!) che non si può essere felici se si è circondati dalla povertà.
L’eguaglianza comporta che la società dia a tutti gli individui la pari opportunità per esprimere e valorizzare i propri talenti. In questo quadro riconoscere Il merito significa gratificare l’individuo nella sua specifica personalità e quindi renderlo appagato. Ma le pari opportunità comportano l’assicurazione di un livello di benessere comune (welfare state), perché esiste una povertà assoluta in relazione ai bisogni e ai diritti, che è intollerabile, ed un’altra povertà relativa, che è accettabile nella misura in cui è giustificabile e modulabile.
Il problema non è accettare o rifiutare la disuguaglianza nella ricchezza, purchè questa sia lecitamente derivata dalle proprie capacità, ma di garantire che la sua distribuzione sia fondata esclusivamente sul diritto e sul merito, per evitare da una parte uno stato di miseria che comprometta la vita stessa delle persone, dall’altra che l’eccedenza di ricchezza concentrata in pochi individui, intollerabile e pericolosa in quanto concentrazione di potere che tende a confliggere coi principi democratici, possa non essere redistribuita alle nuove generazioni.
Quali sono oggi i fattori che impediscono e frenano lo sviluppo sociale ed economico nel nostro paese? Indichiamo qui due emergenze, che dovrebbero occupare i primi posti della agenda politica di un governo riformatore: l’evasione fiscale e la criminalità organizzata.
L’evasione fiscale procura alla collettività un duplice danno economico e morale, in quanto da una parte sottrae risorse allo Stato e dall’altra alimenta la disuguaglianza tra i suoi membri. Il sottrarsi in una democrazia dal dovere primario verso la comunità di “pagare le tasse” pone l’individuo al di fuori del diritto stesso di cittadinanza, in quanto tende a sovvertire l’ordine sociale costituito. L’evasore commette un crimine di gravità paragonabile a quella di un attentato allo Stato e alle Istituzioni. Da questa considerazione deriva che la lotta all’evasione fiscale deve essere concepita come una questione di difesa della Costituzione e dell’ordine pubblico, da trattarsi alla pari della lotta che lo Stato dichiara al terrorismo e alla criminalità organizzata. Una tale determinazione comporta una duplice linea d’azione: realizzare riforme fiscali e politiche economiche che rendano il fenomeno dell’evasioine / elusione meno facile da attuare e meno conveniente da sostenere, e simultaneamente mobilitare la forza repressiva con la massima energia e rigore, non solo finalizzandola alla seppur conveniente politica del recupero crediti, ma alla missione più radicale della rieducazione del cittadino.
La criminalità organizzata, per la sua radicalizzazione nel territorio e la sua invadenza nelle mentalità, va concepita come il problema più grave, in assoluto, sia considerandolo sotto il profilo etico, in relazione alla diffusione e pervasività dei comportamenti illegali ed illeciti tra la popolazione di vaste aree e in particolare quella giovanile, sia sotto quello economico in relazione all’inosservanza delle basilari regole della concorrenza in un libero mercato. Nella misura in cui essa agisce contro lo Stato e le sue Istituzioni democratiche per sostituirsi ad esso nel controllo del territorio e della popolazione con modelli di convivenza arcaici, va combattuta come un nemico che mina all’interno della collettività le regole della convivenza civile, generando in essa uno stato di schiavitù e paura. La guerra alla criminalità organizzata va dunque dichiarata alla lettera e condotta con fermezza alla pari della lotta contro il terrorismo, con la consapevolezza che contro di essa abbiamo il dovere di difendere la democrazia, non di praticarla.


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