Geopolitica energetica

Analisi interessante quella di Vijai Jayaraj sulle relazioni tra nucleare e inquinamento, ma fuorviante. Nel mio libro “L’astuzia del robot. Come pensare l’intelligenza artificiale” facevo osservare che “(…) con il progredire della scienza moderna assistiamo dal secolo scorso ad un capovolgimento dei fini della ricerca rispetto alla applicazione tecnologica: la prima applicazione dell’energia nucleare (…) è stata la bomba atomica e fu voluta per espresse finalità militari. Ne sono la prova le bombe atomiche fatte esplodere a Hiroshima e Nagasaki nel 1945 in Giappone che precedettero di sette anni la prima centrale termonucleare per la produzione di energia elettrica a scopo civile, installata in USA nel 1952”. Ancora oggi questo peccato originale deforma la percezione dell’energia nucleare quale fonte sicura ed ecologica per risolvere il problema dell’approvvigionamento energetico, ed è ragionevole supporre che, in attesa della fusione nucleare, alla paura della guerra nucleare (oltre 15.000 testate atomiche attive nel mondo), alla paura del rischio incidenti centrali nucleari (440 centrali nucleari nel mondo) si sia aggiunta quella per la crisi climatica con il rischio di ritardare ulteriormente decisioni ormai urgenti.

Tuttavia, il punto è che si analizzano le fonti energetiche assumendo un fabbisogno intenso e concentrato, qual è quello necessario all’attuale modo di produzione e consumo da cui dipende la crescita economica come fino ad oggi è stata intesa. Questa implicita assunzione, consistente nel considerare l’energia (di origine naturale) come una variabile indipendente del sistema economico (di origine artificiale), si regge su una logica autoreferenziale che pretende di trovare soluzioni, sempre più complesse e instabili, all’interno di un sistema che considera gli effetti negativi della crescita economica come esternalità. In termini più generali e logici, si confida che la soluzione di un problema generato dal sistema sia sempre possibile agendo al suo interno.

Se, invece, risalissimo alle radici storiche e culturali del problema (rivoluzione industriale-capitalismo) scopriremmo che l’ordine mondiale vigente, con le sue forze che lo sostengono e i suoi effetti che lo giustificano, non ha mutato la sua logica costitutiva ponendo la domanda cruciale, quale che sia il futuro del nucleare: chi sarà il padrone dell’uranio? Attualmente, secondo la “World nuclear association” i maggiori estrattori di uranio sono Kazakistan, Canada e Australia, che insieme contribuiscono al 65% della produzione globale, seguono Namibia, Russia, Niger, Uzbekistan e Stati Uniti ed altri minori. Le miniere sono controllate da un ristretto gruppo di società: una decina di multinazionali, con in testa la francese Areva. Anche sul controllo dell’uranio, così come dell’acqua, dei terreni agricoli, delle terre rare si gioca l’esistenza di miliardi di persone.