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Domanda. Passiamo ora alla transizione dalla “società dello spettacolo” alla” società della percezione”. Quali sarebbero le nuove posture dell’individuo di fronte alla società globale e dell’informazione?
Risposta. Ricordiamo innanzitutto che lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra persone mediato da immagini e che tutto ciò che un tempo era vissuto direttamente si è trasformato in una rappresentazione.
Si pensi ad esempio al successo della formula televisiva del reality show , dove la frustrazione procurata dalla propria vita quotidiana si converte nel piacere vojoristico dell’osservazione di falsi vissuti altrui. Si notino le frustranti cronache radiotelevisive degli avvenimenti sportivi dove due o più commentatori simulano e anticipano con un dialogo concitato l’intervento del pubblico, privandolo in tal modo anche della possibilità di partecipazione e riducendolo alla totale passività dell’ascolto, all’imitazione dei linguaggi e all’assimilazione dei giudizi.
In questa prospettiva la coscienza individuale si arresta, immersa nelle relazioni virtuali ed illimitate di scambi in tempo reale, annichilendosi nella sua passività. Per sopravvivere essa regredisce allo stadio dei desideri, più semplici da capire ed accettare della realtà, mantenendo la sola capacità di volere e rinunciando a quella d’intendere. Essa non vede ciò che è troppo grande e non osserva ciò che è troppo lontano. Addestrata da decenni di pubblicità invasiva, si affida ad una percezione immediata e puntuale di atomi di relazioni, di frammenti d’immagini di vita illuminati dalle informazioni messe di volta in volta a disposizione dai mezzi della comunicazione. Si ricompone in tal modo una pseudo realtà come un effetto stroboscopio, una successione discreta di immagini senza relazioni apparenti.
Il processo di semplificazione della visione del mondo così realizzato è insieme razionale ed emotivo. Razionale perché la coscienza si ritira in uno spazio limitato e quindi apparentemente più controllabile, emotiva perché essa tende a ristabilire la sicurezza perduta. D’altra parte, nella società globale, ma sempre parcellizzata, la generalizzazione è diventata l’unica modalità di conoscenza possibile. La coscienza collettiva tende ad essere la somma delle coscienze individuali, sicchè il comportamento di un popolo assomiglia sempre più al comportamento individuale e, viceversa, il comportamento dell’individuo rispecchia la cultura del suo popolo.
Domanda. La percezione così concepita quali effetti eserciterebbe sulla coscienza degli individui, in altri termini cosa vede la gente e che idea si fa di ciò che vede?
Risposta. Una coscienza che invece di vedere ed osservare il mondo si limita a percepirne frammenti d’immagini, senza conservare più la memoria dell’accaduto, rischia di non cogliere la relazione stessa tra causa ed effetto. Per illustrarne il significato di ciò voglio intendere ricorro spesso alla facile e comune esperienza, che a mio parere vale più di una metafora: quando fletto l’avanbraccio sul braccio vedo il mio movimento causare l’ingrossamento del muscolo, ma in realtà ciò che dovrei osservare è il fenomeno contrario, ovvero l’accorciamento delle fibre muscolari causare l’ingrossamento del muscolo e di conseguenza la flessione dell’arto. In questo caso alla volontà del movimento non corrisponde l’osservazione della relazione vera tra causa ed effetto, ma la visione di un movimento che mi induce a percepire una relazione alterata, in questo caso inversa. L’occhio registra sulla retina l’immagine rovesciata ed è solo per effetto della elaborazione del cervello che ricostruiamo la realtà. Di qui, ancora, la necessità della Cultura. Nessuna carta dei diritti, nessuna forma di partecipazione diretta potrà mai trasformare un popolo infantile o analfabeta in una democrazia.