A lezione di educazione cinica

imagesCi si deve domandare perché all’estero, nei “paesi normali” come si usa dire, la minima mancanza comporti un “passo indietro”. Orrida espressione con la quale si chiamano le dimissioni che seguono immancabilmente a episodi di scarsa o dubbia onestà da parte di chi riveste ruoli istituzionali. La stampa si riferisce spesso a questi episodi esemplari, quali il mancato pagamento dei contributi a una colf o la mancata virgolettatura di una tesi di laurea e si indigna perché da noi per reati e colpe molto più gravi nessuno si dimette. Si dimentica di indicare però le ragioni che inducono siffatti personaggi “stranieri” alle dimissioni dalle cariche ricoperte e i nostri a mantenerle ad oltranza. Eppure la risposta è semplice: si tratta di paesi più civili. Ma che significa più civili? Significa che i popoli di quei paesi hanno assimilato la correttezza nell’agire e l’onestà nei rapporti come valori irrinunciabili della democrazia. Una diversa cultura che appartiene al popolo prima che ai governanti. Contrariamente da noi correttezza e onestà non sono valori che interessino particolarmente gli Italiani al punto che in massa si è disponibili a votare personaggi che si macchiano di reati passati in giudicato, per esempio come la frode fiscale.

Non mi interessa più parlare di Berlusconi, piccolo uomo: è degli Italiani che voglio parlare, di un popolo volutamente tenuto nell’ignoranza politica fino a farne degli analfabeti, tanto a destra quanto a sinistra. I passati vent’anni di degenerazione culturale dovuta allo sdoganamento della pancia (il c.d. “berlusconismo”),  per cui i soli valori sono stati sesso e possesso  annegati in una salsa neo-postmoderna-liberista che ha tutto l’interesse a mantenere nel paese l’ignoranza e l’odio per la politica, complice una mancata opposizione sul piano culturale, uno sterile piagnisteo che altro non ha fatto se non inseguire al ribasso la mercificazione degli ideali del “popolo”, affossando quella dignità procuratasi in anni di lotte. Popolo è ora una parola di cui tutti si riempiono la bocca per poi riempirsi la pancia, sedicenti giornalisti hanno condotto la discussione politica nelle osterie mediatiche chiamate talk show, dove l’ignoranza popolare si confronta con politici ignoranti. Nella pratica pervicacemente sostenuta di far apparire la chiacchiera come democrazia la democrazia stessa é diventata una chiacchiera, il cui livello inesorabilmente sceso al di sotto dei limiti  tracciati dalla ironia del “filosofo” Riccardo Pazzaglia. Ci vorrà la vanga per ritrovare il senno.

Ebbene, l’anomalia non è Berlusconi perché i malriusciti e i superflui sono ovunque, anche in Svezia, dove tuttavia non li votano. La differenza non sta nei politici, nei leader, ma in chi li vota e li segue, nella cultura del popolo.  In altre parole noi non abbiamo una ma molte anomalie, una cultura di livello tanto basso da riuscire non significative ai fini del voto la correttezza e l’onestà di un candidato. Correttezza e onestà non sono valori significativi per la maggioranza degli italiani, nel pubblico come nel privato. Per i furbi “onesto” e “coglione” sono sinonimi. Per uomini intelligenti sono sinonimi “furbo” e “delinquente”.

Vittorio Sgarbi, la capra, riesumava nell’ennesimo talk show cui era stato invitato un detto di Benedetto Croce estrapolandolo dal contesto, detto per il quale “L’unico politico onesto è un politico capace”.  In verità Croce diceva che se stai male ti rivolgi a un medico e non a un uomo buono. Prima di lui Platone diceva che “un bravo medico non è colui che conosce la materia, ci mancherebbe altro, ma colui che si prende cura del paziente”.  Non dubito che Benedetto Croce avesse in amore la salute del paziente e che nel suo caso il paziente non fosse il Principe, ma la Nazione e il bene comune.  Parimenti “il fine giustifica i mezzi” di machiavellica memoria non può divenire autorizzazione a delinquere né per un politico né per altri. Quali fini? Per il re, per me per il partito o “tengo famiglia”? Al cavaliere in merito abbiamo sentito affermare: “chi non fa i propri intessi è un coglione” e i coglioni d’accordo con questa esemplare opinione lo votano. Un giorno, non ne dubito sarà ricordato da un Presidente della Repubblica come un grande statista così come ora si ricorda altri di craxiana memoria.  Presidenti di tutti gli italiani, proprio di tutti.

Sgarbi faceva questo per avvalorare la tesi (sua) che la correttezza e l’onestà non sono una qualità indispensabile per un politico. Ebbene questa citata giustificazione e autorizzazione a delinquere raccoglie il consenso popolare: “che rubi, rubi pure, purché faccia “.  Il fare diventa allora il nuovo mito. Fare sesso, fare politica come fare i soldi: ai valori della pagnotta, del sesso e del possesso si aggiunge così la concretezza del fare, un agire che rappresenta i valori trasversali che coinvolgono in termini di concretezza tutta la popolazione e che trovano per questo un quasi universale consenso, tutte cose per cui il popolo acclama: “Bene, bravo, giusto”, “dammi mille lire e voto per chi vuoi”.

Oggi si parla di centralità del lavoro, si parla di lavoro, ma non della sua sicurezza (deve essere garantito un posto a tutti) non della sua serenità (salvaguardata la dignità). Che l’Italia sia una Repubblica fondata sul lavoro nessuno lo contesta, ma che cosa si debba intender per lavoro è tutt’altra questione. Gli uomini del fare parlano di meritocrazia, selezione, competitività, mobilità, flessibilità, adattabilità, efficienza, efficacia, tutte categorie e grandezze soggette alle leggi di Mercato: sia fatta la Sua Volontà, venga il suo Regno così in cielo come in terra. In questa disamina della ideologia neoliberista gli ultimi saranno schiavi o larve senza lavoro, quasi uomini in attesa del momento di sottrarre il lavoro agli schiavi. Un esercito di lumpen e proletari in crescita. Tutti complici, schiavi compresi. Difenderanno i padroni. Li stanno già votando.

Queste banalità sono sotto gli occhi di chiunque abbia un minimo intendimento politico, ma della politica il popolo non conosce l’alfabeto. Sapere che in democrazia è necessario avere la complicità del popolo per poterlo sfruttare è da sussidiario elementare. Ma il popolo italiano volutamente tenuto lontano dalla politica confonde la polis con i politici. Il trono con chi lo occupa. E nessuno ancora chiarisce questo ignorantissimo equivoco. Una cosa sono le istituzioni altra cosa chi le occupa. Giornalisti, insegnanti, politici che tocchi anche a voi fare cultura? Cultura è per voi un fantasma. Il popolo ancora inneggia a Barabba, ancora si leva l’italiano patriottico grido “Viva l’Italia”.

Uno strano paese il nostro dove si ama l’Italia e si odia lo Stato, lo Stato che la rappresenta, uno strano paese dove tutti amano il popolo e detestano la gente, fosse anche il vicino. In verità quando la gente pensa “popolo” pensa “noi” e quando il popolo pensa “la gente” pensa “loro”. Eppure la gente e il popolo sono il medesimo. Nessuno specchio, nessuna riflessione: il popolo è santo e la gente di merda. In altre parole e in breve non ci può essere nessuna politica degna di questo nome se non c’è cosceinza sociale, la politica è coscienza sociale e la politica è uscita dal sociale. Neolaureati dichiarano di voler pensare seriamente solo alla loro professione e giammai interessarsi di politica, il Corriere della sera ne pubblica le dichiarazioni dedicandogli tutta intera la prima pagina. Il “Corriere della serva”, come chiamato un tempo sembra non smentirsi mai: dietro una facciata di moderazione il serpente Gerione è sempre pronto a colpire con la sua coda. Da chiedersi a che si debba tanta costanza nei secoli.

Morale: non si e mai visto un tale analfabetismo politico, un tale abbietto stato di prostrazione dello spirito in seno al popolo. L’insegnante anziché tenere lezione chiede agli alunni se vogliono fare lezione di greco o andare al parco e poiché a larga maggioranza si decide per il parco, con sacrificio dei pochi eletti detestati in quanto intellettuali, democraticamente si va al parco. Socraticamente il porco è soddisfatto e porco rimarrà. Lucignolo dopo aver condotto i fanciulli nel Paese dei Balocchi, ora porco anche lui, chiede il consenso agli asini. Hi-ho, hi-ho, gli asini acconsentono. Tutto il loro potere i politici lo devono proprio a loro, agli asini e paradossalmente se ne vantano (milioni di voti) e lo sbandierano in ogni Show televisivo in ossequio a quella democrazia che non nei valori ma nei numeri vede la propria forza. La propria forza, forse, ma non la propria dignità. Una democrazia portata nei numeri ma non nei valori non è una democrazia. Sosteneva Oscar Wilde: “Posso sopportare la forza brutale, ma la ragione brutale è insopportabile. Vi è qualcosa di sleale nel suo uso, come sferrare un colpo basso all’intelletto”.

Per questo dunque l’Italia non è un paese democratico,  non tanto per le forme come Cacciari e Scalfari ci spiegano nel loro recente dialogo a conclusione della manifestazione la Repubblica delle idee, ma per il basso livello culturale raggiunto dal popolo italiano, un popolo politicamente analfabeta che avvalla qualsiasi forma di scorrettezza o di reato purché l’eletto gli torni in qualche modo personalmente conveniente. Prima di essere una crisi economica la nostra è una mancanza di cultura, una crisi immanente che investe l’intera popolazione, una crisi più grave della recessione che ci può portare alla regressione, alla violenza alla barbarie. Questa assoluta immaturità del popolo italiano fa della cultura il nodo principale della crisi, ovvero il popolo stesso si mostra immaturo per la democrazia. Quanto alla economia essa è solo una tecnica e come tale risulta in stretta relazione alla mentalità, ovvero al grado di civiltà raggiunto da coloro che l’amministrano.

Il primo dovere di tutti i governi dovrebbe dunque essere di innalzare la civiltà del popolo, rendendo migliori i rapporti tra i cittadini ad ogni livello non solo in termini economici ma di convivialità. Senza una modifica nella postura dello spirito in ciascuno del rapporto da intraprendere con il prossimo nessuna formula economica sarà mai in grado di migliorare la felicità della nostra esistenza. Che l’alba arrivi, un’alba non dorata, ma chiara “poiché un sognatore è colui che vede la sua strada solo al chiaro di luna, la sua punizione è vedere l’alba prima del resto del mondo” (ancora Oscar Wilde). Solo la cultura ci salverà.